Cresce l’export, ma sono poche le aziende che esportano. Perchè?

Export. La stragrande maggioranza degli imprenditori che producono beni reali si dichiara desiderosa di esportare. Nei fatti, solo una piccola parte esporta realmente, con costanza e regolarità,

Eppure i vantaggi per chi esporta sono evidenti, le potenzialità enormi.

Analizziamo perchè esportare è una strada degna di essere percorsa, per poi identificare 7 cause che frenano il successo nell’export delle PMI.

Prendiamo in esame, come settore di case study, il settore agroalimentare, ma la dinamica è riscontrabile anche in altri settori.

L’idea del post prende spunto da un articolo dell’Osservario Agroalimentare, del 5 ottobre 2017 (link all’articolo nelle fonti a termine di questo post). Nel bell’articolo si analizzano i dati e si osservano disomogeneità, A me piaceva l’idea di ipotizzarne alcune cause.

Partiamo dai dati:

Vola l’export agroalimentare italiano nei primi 5 mesi di quest’anno

Nei primi cinque mesi del 2017, l’export agroalimentare italiano è aumentato del 6,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, confermando un trend di crescita che ormai dura da oltre dieci anni.

Nei mercati extra UE la crescita è più alta

In questo primo scorcio di 2017, i mercati registrano una crescita significativa anche al di fuori dell’area Euro, mentre i prodotti con un tasso di export più alto rispetto allo stesso periodo del 2016 riguardano lattiero-caseari e derivati della carne. In generale, l’export nei mercati extra-UE nel periodo gennaio-maggio 2017 registra una crescita più che doppia rispetto a quella registrata nei paesi dell’Unione europea.

Chi beneficia di questo trend positivo dell’export, nel settore agroalimentare?

Sebbene l’export agroalimentare Italiano sia positivo, questa crescita è appannaggio di poche imprese. Su un totale di oltre 56mila aziende, sono appena 8.200 quelle esportatrici, vale a dire il 15% del totale, contro una media dell’intero settore manifatturiero italiano superiore al 22%.

La stessa propensione all’export, misurata dal rapporto tra fatturato estero e totale è pari al 23%, quando nel caso della Spagna supera il 28% e per la Germania arriva al 33%. Eppure non si può certo affermare che i prodotti tedeschi vantino una notorietà ed un apprezzamento presso i consumatori di tutto il mondo superiori a quelli italiani!

Questo quanto si evince da una analisi di AGR-Osservatorio Agroalimentare.

I prodotti Italiani, nel caso specifico agro-alimentari, ma non solo, si trovano in una situazione irreale.

A dispetto della notorietà del Made In Italy, l’Italia non rientra tra i top exporter agroalimentari.

Il Made in Italy alimentare rappresenti uno dei “brand” più riconosciuti nel mondo, il nostro Paese non figura nella top 5 dei principali esportatori mondiali. Nel ranking internazionale, l’Italia figura solamente al nono posto.

In sintesi, pur avendo i prodotti percepiti come migliori, vendiamo meno dei concorrenti.

Il Made in Italy, quale sinonimo di qualità più apprezzati al mondo è un ottimo biglietto da visita per i prodotti Italiani. Vanificato però da azioni non adeguate per sostenerne le vendite sui mercati esteri.

E’ come se disponessimo di una bellissima auto, una Ferrari, per menzionare un famoso brand del Made in Italy, ma non volessimo mettergli la benzina che occorre per farla muovere.

In tutto ciò, la concorrenza internazionale, agguerrita, lavora per acquisire quote di mercato, pur in assenza di una qualità paragonabile ai prodotti nostrani, sfruttando meglio di noi la tecnologia.

Analizziamo ora 7 punti che delineano la causa del gap export delle nostre aziende, soprattutto PMI, rispetto alle concorrenti Europee.

  1. Dimensioni aziende: Le dimensioni e frammentarietà delle produzioni Italiane. Le nostre imprese sono perlopiù piccole, spesso a conduzione familiare. Piccolo sarà bello, ma fare export significa anche nuotare in mari popolati da grandi concorrenti. Meglio attrezzarsi.
  2. Cultura aziendale: Il voler essere totalmente fedeli alla tradizione e consuetudini aziendali è freno per l’export, che prevede flessibilità e volontà di innovare. Se non innoviamo noi, lo faranno i concorrenti, magari soffiandoci quote di mercato. Spesso nelle PMI impera l’assioma: “Lavoriamo così perchè così faceva mio nonno, poi mio padre e oggi io, nel rispetto della tradizione di famiglia”. Benissimo, per quanto riguarda i prodotti. Però fai in modo che siano certificati come vuole il mercato, abbiano un packaging come piace ai clienti. Se poi per andare sull’estero occorre cambiare l’approccio al mercato, perchè oggi non abbiamo lo stesso mercato che hanno vissuto nonni e genitori. L’opzione innovazione e sperimentazione di nuove strategie è quantomeno da valutare.
  3. Visibilità dei prodotti presso i buyers: Sei tu come imprenditore che devi agire per rendere i tuoi prodotti visibili ai possibili distributori e clienti. Certo, occorre mettere impegno ed energie su questo punto. Però converrai che molto difficilmente saranno i buyers che verranno a cercare te, come fornitore, in assenza di azioni specifiche.
  4. Digitalizzazione. Oggi i tuoi agenti non possono arrivare ovunque arriva Google. Per fare export, devi essere trovabile da google. Sul fronte della digitalizzazione nel 2016 eravamo 25° su 28, in Europa. Non essere attivi o in ritardo rispetto ad altri paesi sul digitale vuol dire non essere trovabili da possibili clienti, vuole dire perdere occasioni di business, vuol dire perdere sfide. I prodotti fatti bene non bastano. Non più. Occorre far sapere che esistono. Là dove non può arrivare una tua persona fisica, deve poter arrivare il web e il digitale. Altrimenti arriverà un tuo concorrente.
  5. Fiere e dintorni: Uno dei metodi tradizionalmente più rapidi per acquisire nominativi di aziende e distributori esteri del settore è la partecipazione a fiere di settore. Ma la partecipazione a fiere, quale espositore, da sola, non basta. Occorre preparare un’agenda di incontri prima. Occorre realizzare incontri e prendere informazioni durante la fiera. Occorre dar seguito ai contatti avuti in fiera, con un adeguato follow-up. Spesso questi tre punti sono effettuati con superficialità e la fiera si rivela un costo certo, con un ritorno, ovvero nuovi clienti e nuove opportunità di business, che sfumano con il passare del tempo.
  6. Standard di mercato: I buyers sono abituati a ricevere decine di offerte, da una miriade di fornitori, da ogni parte del globo. E’ necessario dialogare e fare offerte in linea con le consuetudini e standard di mercato. Se “parli la stessa lingua”, anche dal punto di vista commerciale, è più facile essere ascoltati e valutati.
  7. Credibilità e coerenza: Occorre fare promesse credibili e mantenibili. Affermare che si può fare qualunque cosa, qualsiasi personalizzazione, in tempi rapidissimi, serve a poco, se poi, nella pratica, non si è in grado di rispettare promesse e scadenze. I buyers richiedono fornitori seri, affidabili, sia nella realizzazione dei prodotti, sia nel rispetto delle condizioni di fornitura.

Questi sono 7 punti semplici, più ispirati dalla logica che dalla profonda strategia.

Cosa ne pensi?

Hai altri punti da segnalare?

Fonti:

Osservatorio Agroalimentare: L’export agroalimentare cresce, ma sono ancora poche le imprese esportatrici

http://www.osservatorioagr.eu/approfondimenti/l-export-agroalimentare-cresce-ancora-poche-le-imprese-esportatrici/

La tribuna di Treviso: Export solo per 5 mila «Poche aziende all’estero»

http://tribunatreviso.gelocal.it/treviso/cronaca/2017/10/21/news/export-solo-per-5-mila-poche-aziende-all-estero-1.16022374

Osservatori.net: CRESCE LA DIGITALIZZAZIONE, MA L’ITALIA È ANCORA TERZULTIMA IN UE

https://www.osservatori.net/it_it/osservatori/executive-briefing/cresce-la-digitalizzazione-ma-l-italia-e-ancora-terzultima-in-ue

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